Intervista esclusiva a Michele Mastagni, amministratore delegato Kögel Italia
Raccoglie a fine anno un ottimo risultato la branch italiana di Kögel, che si posiziona al secondo posto nella classifica assoluta dei costruttori di semirimorchi, ma soprattutto, fredda la concorrenza con una netta crescita di quota che passa dal 10,6 all’11,5 per cento, superando il 35 per cento nella specialità della casa, i centinati. Uno sviluppo che scintilla non solo nel panorama italiano, ma anche in quello europeo, protagonista di una performance non così entusiasmante. Ne parliamo con Michele Mastagni, amministratore delegato di Kögel Italia.
Michele Mastagni, partiamo dalla vostra prestazione, non una sorpresa, avendo evidentemente lavorato bene durante l’anno, ma comunque i dati scritti nero su bianco sono sempre una soddisfazione…
Sì, il 2024 per la filiale Italiana si è concluso in modo positivo. Sì, è vero che abbiamo immatricolato 1.548 veicoli (95 in meno rispetto al 2023), ma ciò che va sottolineato è che nel panorama nazionale dei grandi costruttori siamo gli unici ad aver incrementato la market share. E considerato che il mercato del trainato ha chiuso l’anno con una perdita del 13,5 per cento, la nostra prestazione è stata di assoluto rilievo. Altri marchi sono cresciuti, ma non nel nostro segmento di riferimento, che è quello dei centinati. Purtroppo la nostra festa è, come dire, un po’ amara, visto che altri mercati europei, e la Germania in primis, non hanno avuto gli stessi risultati, complice la congiuntura economica che ha frenato gli investimenti, ma anche, in molte nazioni, un parco veicolare non così vetusto come quello italiano, con una minor esigenza di sostituzione.

Il merito della vostra prestazione è da assegnare probabilmente anche al team dedicato alla vendita che avete plasmato in questi ultimi anni?
Sì, la squadra commerciale è diventata più capillare, e non parlo solo di quella diretta, che può contare su sette professionisti al lavoro su differenti zone della Penisola, ma anche dei partner commerciali che hanno creduto in noi e che oggi ci aiutano a espandere territorialmente la nostra azione. Parlo dei dealer che hanno giocato nell’anno una partita importante al nostro fianco. Ora intendiamo perfezionare, e lo faremo nel corso del 2025, il servizio post vendita, andando ad aggiungere presidi in zone ancora scoperte, per migliorare la distribuzione e la reperibilità di ricambi.
Come prevede che si comporterà il mercato nel 2025?
Credo che inizierà con un importante freno, ma che verso la fine dell’anno assisteremo ad una ripresa. Sono in fase di definizione – o mi piace crederlo – i conflitti che hanno portato tensioni all’economia europea. In Germania sono certo che assisteremo ad un cambio di governo, svoltando, mi auguro, da una guida rosso-verde a una di centro-destra, che secondo me aiuterà di più le imprese. E soprattutto la speranza che mai si sopisce è che, essendo il trasporto molto vicino alla logistica dell’automotive, i governanti europei rivedano priorità e calendario in merito alla transizione, tamponando così le difficoltà dei costruttori. Vedo in aumento il noleggio, e se certamente non abbiamo intenzione di dedicarci direttamente a questa attività, perché significherebbe studiare un’organizzazione parallela rispetto a quella della vendita, che invece deve rimanere il nostro business, Kögel però è da sempre vicina a tutti gli operatori sul campo. È una formula che permette alle aziende, che in questo momento stanno fatturando e guadagnando di meno, e magari hanno un accesso al credito limitato, di investire sulla loro attività piuttosto che sull’acquisto della flotta. Sui trattori è una pratica ormai consolidata, ma anche sui semirimorchi il trend è in progressione e riveste una grande utilità in questa fase di incertezza. Noi intratteniamo rapporti con tutti, e devo dire che ogni anno la percentuale di veicoli che consegniamo a queste realtà cresce, e nel 2024 è arrivata al 20 per cento del totale dell’immatricolato.


Che siano venduti ad aziende o a noleggiatori, l’importante è che si abbassi l’età media del parco dei semirimorchi, che ormai ha raggiunto un valore imbarazzante.
Sì, ormai il parco ha compiuto la maggiore età, e non so più quante volte io abbia sottolineato come questa situazione sia peculiare del solo mercato italiano, e quali siano le conseguenze in termini di costi e di sicurezza.
Il fatto è che non ci sono limiti all’utilizzo del semirimorchio, mentre nei truck esistono le classi di emissione.
Esattamente, però se già le revisioni venissero eseguite in maniera severa, come succede in altri Paesi europei dove infatti non capita di incontrare per strada catafalchi malconci, sarebbe già un buon risultato. Certo, bisogna considerare che l’Italia è la patria degli allestiti: negli altri Paesi i semirimorchi sono molto più standard, mentre da noi sono spesso costruiti su misura, ed è quindi meno agevole cambiarli.

Le aziende devono anche permettersi la sostituzione, abbiamo appena detto che sono in difficoltà, che non hanno accesso al credito…
Allora, qui c’è da fare un discorso di competitività. Le aziende che non si possono permettere di sostituire il loro parco circolante – neanche eventualmente con la formula del noleggio – e continuano a mettere su strada semirimorchi vecchi, insicuri e poco aerodinamici che di fatto neutralizzano finanche l’eventuale efficienza del trattore, semplicemente non possono più giocare e dovrebbero lasciare il posto a chi invece è disposto ad investire, e sa come farlo per avere successo. Gli incentivi, non mi stancherò mai di ripeterlo, non servono a nulla così come sono concepiti. Incentivo sì, ma non attraverso lo strumento del click day, che premia il più veloce e arriva all’improvviso, senza di fatto permettere una pianificazione del business. Questi contributi non fanno bene ai trasportatori, che si affannano per rientrare nel beneficio, e non fanno bene neanche alle aziende costruttrici, esposte a picchi di richiesta che di fatto drogano il mercato.
Gli incentivi andrebbero necessariamente inseriti in un’agenda programmatica che dia la possibilità alle aziende – quelle in grado di farlo – di pianificare per tempo l’investimento. Scorretto anche assegnare limitazioni nell’erogazione dei contributi: perché le grandi flotte che possono investire devono essere penalizzate? Quindi fondi pluriennali, assegnati magari nella forma del credito di imposta che non lasci le aziende anni ad attendere i rimborsi, e legati non soltanto a un tema di intermodalità, ma soprattutto al discorso della sicurezza. Svecchiare vuol dire avere dei mezzi più sicuri, e sicurezza sulla strada si traduce in un taglio di costi per l’azienda e per la collettività. Poi io sarei anche per la disincentivazione, provvedimenti che in qualche modo – ad esempio attraverso la maggiorazione dei pedaggi autostradali – inibissero la circolazione ai veicoli più anziani, ma non è che i due strumenti si escludano a vicenda. Il problema è che la politica dovrebbe ascoltare di più chi ha le conoscenze tecniche, e forse questo sarebbe anche il ruolo delle associazioni, fare da intermediario tra impresa e politica, ma gli interessi in gioco sono tanti, e non sempre coincidono.