Automation and control in electric and hybrid vehicles. È questo il nome di uno dei corsi che Sergio Matteo Savaresi tiene al Politecnico di Milano. Da molto tempo il professore si occupa, tra tante altre tematiche, di guida autonoma, e questo lo ha portato ad avvicinarsi anche al mondo dei veicoli da trasporto merci. Quel mondo complesso della logistica che cerca di prevedere come e quanto il “personaggio” degli ultimi mesi – o forse degli ultimi anni – l’intelligenza artificiale, possa migliorare l’efficienza dell’intera filiera.
Sergio Matteo Savaresi l’intelligenza artificiale da qualche tempo è diventata un tema pervasivo di discussioni e previsioni…
L’intelligenza artificiale è una tecnologia basata su reti neuronali ed è ben nota da tantissimo tempo alla scienza e a chi fa ricerca e sviluppo. Recentemente è diventata molto di moda con l’utilizzo di massa di ChatGPT, che non è altro che una naturale evoluzione di una tecnologia che esiste da anni. Con Chat GPT si è vista l’intelligenza artificiale come un qualcosa di rivoluzionario, se ne sono compresi i suoi tantissimi campi di applicazione, tra cui quello dei trasporti.
Oggi l’intelligenza artificiale viene utilizzata da tanti di noi in vari modi. E in qualche misura se ne ha anche paura. È giusto esserne intimoriti?
Sarebbe semplificativo rispondere con un semplice sì o con un no. È una tecnologia molto potente che può avere accezioni potenzialmente pericolose. Forse potremmo dire che è una tecnologia delicata, soprattutto per gli aspetti legati alla nostra interazione con le informazioni. L’intelligenza artificiale è infatti in grado di elaborare informazioni, di sintetizzarle al posto nostro. Può essere un elemento positivo, pensiamo al confezionamento di testi in maniera molto rapida, ma può anche toglierci la capacità di giudizio. Ci sono applicazioni che non hanno connotazioni negative, e penso ad esempio alla guida autonoma, uno degli utilizzi dell’intelligenza artificiale nel campo della robotica. I compiti che tradizionalmente sono sempre stati svolti dall’uomo, spesso ripetitivi e potenzialmente pericolosi, possono essere delegati all’automazione grazie anche all’intelligenza artificiale.
Luc Julia, esperto di fama mondiale sul tema, ha detto che l’intelligenza artificiale mira principalmente a integrare e a estendere le capacità cognitive e prestazionali dell’uomo, piuttosto che a replicare esattamente il nostro cervello. Ci aiuta ad essere più performanti, ma non deve pensare al posto nostro.
Assolutamente d’accordo con Luc Julia. È un po’ la metafora del pappagallo statistico. Oggi, quella che noi chiamiamo intelligenza artificiale, e che sembra una cosa quasi miracolosa, di fatto è un pappagallo statistico che raccoglie una quantità enorme di informazioni e le riproduce in maniera ben organizzata, su base statistica. Non è una replica del cervello umano con tutte le capacità di innovatività e creatività che ha l’uomo. È certo però che in molte situazioni questa capacità rapidissima di raggruppare dati e di produrre una sintesi è un supporto notevole per l’uomo. L’intelligenza artificiale deve però essere utilizzata in maniera appropriata altrimenti il rischio è che progressivamente perderemo la nostra capacità di fare sintesi.
Dietro l’intelligenza artificiale c’è ancora dunque l’intelligenza umana, anche sta diventando sempre più difficile distingue il vero dal falso. Ma, applicata al campo del trasporto e della logistica, l’intelligenza artificiale può aiutare in varie fasi delle attività di questo settore. Può aiutare le aziende, gli autisti, i veicoli, la pianificazione delle consegne…
Oggi il settore del trasporto e della logistica è in netta espansione, andando di pari passo con la progressiva virtualizzazione della mobilità delle persone. La pandemia ha accelerato un processo che già esisteva, ampliando il numero dei movimenti virtuali. Prima andavamo noi verso le cose, sempre di più, ora, sono le cose che ci raggiungono. È un settore in grandissima crescita, con una articolata filiera e una lunga serie di complessità tecniche. Oggi però si abusa un po’ troppo del termine intelligenza artificiale. Ad esempio, l’ottimizzazione delle corse delivery oggi richiede un’algoritmica estremamente sofisticata che serve a risolvere problemi di ottimizzazione molto complessi, ma che non necessariamente impiegano le tecnologie dell’intelligenza artificiale, o le reti neuronali. Algoritmica e intelligenza artificiale non sempre vanno insieme. La filiera della logistica richiede, ovviamente, innanzitutto una pianificazione, la gestione delle merci, del trasporto. L’everest tecnico da raggiungere è sicuramente quello della guida autonoma, che si prevede che possa entrare prepotentemente in tutte le missioni: nel lungo raggio, nel medio raggio, ma soprattutto nell’ultimo miglio. Proprio nell’ultimo miglio servirà sia la guida autonoma sia l’intelligenza artificiale in senso proprio. Oggi siamo abituati a consegne fatte da persone. Realisticamente, nel giro di 5-15 anni, una buona parte di queste operazioni verranno svolte da veicoli interamente o quasi interamente autonomi. È a questo punto che entrerà in gioco l’intelligenza artificiale per sostituire l’umano nella guida. Un’intelligenza artificiale molto complessa che cambierà radicalmente l’ottimizzazione e l’economia della filiera logistica.
In futuro l’intelligenza artificiale cambierà sicuramente la vita delle aziende di autotrasporto e cambierà anche la vita degli autisti che dovranno trovare altre modalità di lavoro, altri impieghi. Rimanendo al presente, oggi l’intelligenza artificiale può aiutare l’autista tradizionale a lavorare meglio?
L’intelligenza artificiale allo stato attuale è utilizzata all’interno dei sistemi ADAS di supporto alla guida, che già oggi usano massicciamente videocamere che raccolgono informazioni poi elaborate e gestite da algoritmi che usano almeno parzialmente le reti neuronali. I sistemi di supporto alla guida naturalmente progrediranno fino a gestire completamente l’intero processo, sostituendo l’autista”.
Potrebbero sparire delle professioni e nascerne delle nuove?
Questo è assolutamente vero in tutti gli aspetti dell’automazione. Spesso viene visto come un problema in realtà, il più delle volte, a posteriori, si scopre che è un’opportunità per sollevare gli esseri umani da lavori faticosi e ripetitivi, lasciando loro i compiti di supervisione di queste tecnologie. Siamo spaventati da questi processi di sostituzione, ma spesso sono cambiamenti positivi. Inoltre tutte le grandi trasformazioni tecnologiche richiedono una nuova formazione della forza lavoro, e dobbiamo abituare le nuove generazioni a ragionare esattamente in questi termini. Il processo di apprendimento sarà continuo, con ritmi di aggiornamento molto rapidi. La capacità di rigenerare la propria formazione tecnico-scientifica, ma non solo, diventa un elemento determinante per la carriera, per l’evoluzione professionale delle persone.
Torniamo, professor Savaresi, alla guida autonoma: i camion che si guideranno da soli avranno bisogno di parlare con l’ambiente circostante, dell’internet delle cose, di smart road. Queste infrastrutture in Italia quanto sono distanti dalla effettiva realizzazione?
L’Italia da questo punto di vista non è indietro rispetto agli altri Paesi. Ad esempio, Autostrade per l’Italia e ANAS hanno progetti pilota, in alcuni casi molto ambiziosi e avanzati. Il Politecnico di Milano sta collaborando attivamente con Autostrade per l’Italia per una serie di progetti che vanno in questa direzione. Certo è che in Italia, come in tutti gli altri Paesi al mondo, l’evoluzione verso una infrastruttura di smart road è estremamente complessa e costosa. Il problema è far andare di pari passo i costi infrastrutturali con le effettive esigenze. Sarebbe inutile oggi avere una rete autostradale completamente intelligente per facilitare l’utilizzo di auto a guida autonoma, quando quest’ultima è ancora una tecnologia che non è disponibile in massa. È problema dell’uovo e della gallina. È importante procedere in sincronia con veicoli e infrastrutture. Direi però che in Italia si stanno facendo i passi giusti. Il punto di partenza realistico sarà un’auto autonoma che se la saprà cavare anche senza un significativo contributo infrastrutturale.
Sarebbe auspicabile anche una produzione smart per rispondere effettivamente alle necessità e alle richieste del mercato. Si potrebbe ottimizzare il trasporto delle merci verso la produzione e il consumo studiando, con l’intelligenza artificiale, i comportamenti dei consumatori?
Sicuramente sì, ed è un processo già in atto. Sono sistemi di ottimizzazione che non necessariamente usano algoritmi di intelligenza artificiale in senso proprio. Questi processi per essere sviluppati richiedono tempi lunghi e per funzionare bene devono essere alimentati da un flusso enorme di dati. E questo è anche uno dei temi dell’intelligenza artificiale: uno strumento potentissimo, un’arma che può risolvere tanti problemi, ma che deve essere alimentata da enormi quantità di dati, ben ordinati e strutturati, per poter essere fruibili. Spesso il collo di bottiglia è proprio un accesso ordinato e continuo alle informazioni, che non è stato ancora completamente messo a punto. Ci vorranno diversi anni affinché le esigenze del consumatore, del produttore e il network di trasporti si parlino in modo ordinato. Oggi questi processi spesso non sono utilizzati non perché manchi l’algoritmo giusto ma perché i flussi sono interrotti o parziali.
Professor Savaresi, l’intelligenza artificiale non durerà lo spazio di un mattino, è qui con noi ed è destinata a rimanere, anche se noi ci siamo un po’ innamorati di un concetto romantico, un po’ fantascientifico che non risponde alla realtà.
Intelligenza artificiale è un termine che ha fatto innamorare tutti, è molto evocativo. Dobbiamo essere attenti a moderare le aspettative, ma sicuramente non si tratta di un fenomeno passeggero. Non è ancora sviluppata a pieno, ma avrà sempre più impatto sulle nostre vite. È una tecnologia che dovremo saper gestire, ma serviranno ancora decenni perché venga sviluppata in modo compiuto e inizi ad avvicinarsi a una vera intelligenza. Oggi siamo ancora distanti, mi viene da dire per fortuna, perché questi processi è bene che si sviluppino su dinamiche lente, per far sì che il sistema, le normative, le persone possano abituarsi e imparare a gestirle.
Bio
Sergio Matteo Savaresi 56 anni, è nato a Manerbio (BS). Al Politecnico di Milano ha conseguito una laurea in Ingegneria Elettronica, un PhD in Ingegneria dell’Automazione ed una laurea in Matematica all’Università Cattolica del Sacro Cuore. Dopo il PhD ha lavorato per la McKinsey&Co. Dal 2006 è professore Ordinario di Automazione presso il Politecnico di Milano, dove è Direttore del Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria. È titolare del corso “Automation and control in vehicles”. Autore di oltre 700 pubblicazioni scientifiche internazionali (fra cui cinque libri) e di oltre cinquanta brevetti. I suoi interessi di ricerca sono nei sistemi di controllo per i veicoli e per la mobilità. Savaresi è stato co-fondatore di numerose aziende startup.