Uno dei primi passaggi di mezzi pesanti che la storia ricordi, attraverso le cime delle Alpi, in direzione della nostra penisola, è stato quello dell’esercito di Annibale. 37 elefanti, 12.000 cavalieri e 90.000 uomini tra settembre e ottobre del 218 a.C. varcarono a fatica l’arco alpino. Circa un mese di marce forzate e di ostacoli da superare, a quote anche di 3.000 metri. Le Alpi poi, nel corso del tempo, non sono state più soltanto una barriera difensiva ma anche una via di collegamento tra l’Italia e il resto d’Europa, e questo grazie ai tunnel stradali e ferroviari che sono stati costruiti negli ultimi due secoli. Da qualche anno però, a una aumentata necessità di trasporto delle merci dall’Italia verso l’estero e viceversa, non corrisponde un adeguamento delle strutture di passaggio.
Ad esempio del tunnel stradale del Monte Bianco, ancora a una sola canna e con chiusure periodiche dovute a manutenzioni necessarie. E poi c’è la politica di restrizioni al traffico pesante da e per l’Italia messa in atto dall’Austria e, più in generale, la volontà di Svizzera e Austria di trasferire la maggior parte possibile del traffico merci dalla gomma al ferro. Le Alpi tornano a essere una parziale barriera alla libera circolazione di merci e passeggeri. Sull’attuale stato dei passaggi dell’arco alpino abbiamo chiesto ragguagli all’ing. Antonello Fontanili, direttore di Uniontrasporti, un vero esperto della materia.
Antonello Fontanili, osservando il trasporto mondiale, se la gran parte delle merci viaggia in nave, quelle che vengono esportate dall’Italia verso l’Europa viaggiano soprattutto su gomma o su treno e passano attraverso le Alpi. Ha un’idea di quante tonnellate pesino e quale valore abbiano?
Negli ultimi anni l’intercambio commerciale con gli altri Paesi europei, e in particolare quello che attraversa le Alpi, che va su ferrovia e su gomma, ha raggiunto un volume di circa 180 milioni di tonnellate di merce. Si stimano 550 miliardi di euro per l’import e l’export che attraversa ogni anno il sistema dei valichi alpini. Una barriera naturale che invece per l’Italia è fondamentale che rimanga aperta al passaggio.
Numeri importanti…
Sicuramente notevoli. Due terzi del nostro export è verso i Paesi dell’Unione Europea.
I valichi alpini sono da mettere in relazione a tre fattori: tempo, territorio e economia…
Partiamo dal tempo. E da una questione storica, quella della fragilità dei valichi alpini. Se ne parlava già nel piano generale dei trasporti del 1986, che evidenziava l’esigenza di creare dei tunnel di base, uno lungo il corridoio mediterraneo, quello della Torino-Lione, e uno lungo il corridoio Berlino-Palermo, l’attuale ScanMed, attraverso la galleria del Brennero. Già quaranta anni fa si sapeva che, prima o poi, la questione valichi sarebbe esplosa. E in quarant’anni il traffico alpino è notevolmente aumentato, anche se a fasi alterne. Dal 1984 al 2005-2006 è cresciuto, poi c’è stata una discesa da mettere in relazione alla crisi economica di quegli anni. In seguito il traffico è ripartito, per poi calare di nuovo nel periodo del Covid. Ma crisi economiche ed epidemie a parte, la tendenza è sempre stata mediamente verso l’alto.
Quaranta anni fa però il trasporto su ferrovia e su gomma movimentavano un volume di merci tutto sommato abbastanza simile. Le statistiche fotografano chiaramente quello che è successo. Nel 1984 il 48 per cento delle merci che attraversava le Alpi viaggiava su treno, con un equilibrio quasi perfetto. Da allora però la crescita del ferro è stata inferiore al 2%, mentre quella della strada tre volte più veloce, come testimoniano i dati di traffico forniti da Alpinfo, sistema di monitoraggio della Confederazione Elvetica. E, contemporaneamente, un gran volume di traffico si è spostato da ovest, direzione Francia, verso est, soprattutto verso la Svizzera e l’Austria.
Sempre analizzando la dimensione del tempo in relazione al trasporto attraverso le Alpi, usiamo ancora infrastrutture che sono nate molti anni fa.
Esatto. Il Moncenisio è del 1871. Il Monte Bianco invece è del 1965, quasi cento anni più giovane, ma pur sempre con sessanta anni di vita. E per una infrastruttura di quel genere sessanta anni sono tanti. Per questo c’è l’esigenza di una manutenzione che prevede una chiusura del Bianco di tre mesi l’anno per i prossimi diciotto anni. Ancora prima dei tunnel stradali sono nati quelli ferroviari. Il Brennero, nonostante abbia 150 anni, può sopportare ancora volumi di traffico molto significativi, quasi a livello del tunnel stradale del Gottardo che è nato nel 1980. E, parlando del Gottardo, c’è da dire che nonostante il tunnel sia più giovane di quello del Monte Bianco, si doterà di una seconda canna che sarà aperta nel 2029. Questi lavori testimoniano come gli svizzeri si siano resi conto che il futuro non potrà essere soltanto ferroviario, come magari auspicavano nel passato, e per questo motivo corrono ai ripari andando a sviluppare per tempo una nuova galleria stradale. Mentre il Bianco rimane a una sola canna. Una limitazione davvero pesante.
Parliamo del tunnel del Monte Bianco allora. A che punto sono i lavori?
Per i prossimi diciassette anni resterà chiuso per tre mesi l’anno. Nei mesi meno difficili, certo, dopo l’estate e prima della stagione invernale, me in questi slot la chiusura sarà totale. Grandi problemi per il trasporto delle merci, e anche del traffico privato turistico – la Valle d’Aosta è una destinazione molto ambita dai turisti francesi – e maggiori costi per le imprese italiane che devono esportare verso la Francia. E il Gran San Bernardo, anche per questioni doganali, è difficilmente utilizzabile.
Un problema per la Francia e soprattutto per l’Italia.
Ma non solo. Mi sembra un po’ paradossale che le questioni, il dibattito su un tunnel che unisce non solo due Paesi, ma anche l’Italia anche al resto dell’Europa, debba essere dibattuto dal sindaco del comune di Chamonix che si oppone alla seconda canna che permetterebbe non solo un aumento del passaggio di mezzi ma anche di aumentare la sicurezza del trasporto, sia commerciale sia privato. Questo è un argomento che va trattato a livello almeno governativo. Come avviene anche per il Brennero o per la Torino-Leone, il tunnel del Monte Bianco è una struttura di rilevanza europea. Una seconda canna al Bianco di 22 chilometri richiede almeno cinque anni di lavoro. Ma bisogna partire. Gli svizzeri, al contrario, sono già partiti, con la seconda canna del Gottardo e nel 2029, quando il traffico sarà ulteriormente cresciuto, avranno un ulteriore sbocco per il trasporto stradale.
Dovrebbe intervenire l’Unione Europea. In effetti è molto strano che possa essere il sindaco di Chamonix a bloccare la realizzazione della seconda canna del Bianco. Una situazione che ricorda da vicino quella del Brennero, dove la regione del Tirolo fa quello che vuole per proteggere il suo territorio. O almeno questa è la motivazione ufficiale, dietro la quale potrebbe esserci una volontà di fare concorrenza ai trasportatori italiani e di rallentare le nostre esportazioni.
Certo, esattamente. Bisogna dare atto al ministro Salvini di aver preso a cuore la situazione e di aver fatto i passi necessari verso l’Unione Europea. C’è il famoso parere della Commissione arrivato nella primavera del 2024. Anche la nuova Commissione sembra sia in grandissima maggioranza a favore del rispetto delle ragioni che hanno portato l’Italia a chiedere la procedura di infrazione nei confronti dell’Austria. Ora dobbiamo attendere la risoluzione della Corte di Giustizia europea, che speriamo arrivi il prima possibile entro quest’anno. È fondamentale non solo per il trasporto italiano, ma per tutta l’economia del Paese, che sia stabilito un punto fermo contro le decisioni prese dall’Austria nel corso degli ultimi anni e che sia ripristinato uno dei diritti fondamentali dell’Unione: la libera circolazione delle merci.
Ponte Lueg, un’altra pesante chiusura
Dal gennaio del 2025 il corridoio del Brennero subisce un’altra riduzione di capacità a causa delle limitazioni al passaggio sul ponte Lueg, sul versante austriaco dell’autostrada del Brennero. I veicoli di peso superiore alle 3,5 tonnellate potranno viaggiare solo sulla corsia interna, quella di sinistra, in entrambe le direzioni di marcia, per permettere di svolgere i lavori che garantiranno il funzionamento del ponte in sicurezza. I lavori di ristrutturazione del ponte Lueg si articoleranno in tre fasi. Prima sarà realizzata la costruzione della nuova struttura portante, poi sarà demolita la vecchia struttura e infine, nel 2030, sarà completato tutto il progetto di ricostruzione.
“La corsia unica – spiega l’ingegner Antonello Fontanili – presenta molte criticità, sia in termini di limitazione dei flussi sia per la sicurezza. Si verificheranno forti rallentamenti e lunghe code di veicoli leggeri e pesanti, con l’elevata probabilità che il traffico impegni costantemente l’impalcato del ponte, con carichi statici molto più significativi rispetto a quelli creati da un traffico su due corsie e se non ci fosse il divieto notturno imposto dall’Austria al passaggio per i mezzi pesanti”. Due gli scenari previsti da Uniontrasporti a seguito di questa riduzione di portata del Ponte Lueg. Nel caso meno severo, con una riduzione del traffico pesante del 50 per cento, l’impatto economico negativo per il trasporto merci sarebbe di 93,5 milioni di euro l’anno. Nel caso più negativo, con la chiusura integrale della tratta al traffico pesante e una deviazione verso il Tarvisio, il Gottardo e il San Bernardino la perdita economica annua salirebbe a 327,3 milioni di euro.