Per raccogliere la voce di Giovanni Dattoli, da sette anni amministratore delegato di Volvo Trucks Italia, ci colleghiamo con il suo ufficio di Zingonia in video call: ad accoglierci, oltre al suo sorriso, si intravede nell’inquadratura una targa che recita: “be kind”. “Lo sa qual è la differenza tra ‘be kind’ e ‘be nice’?” ci chiede subito. “In realtà no” – rispondiamo – sono espressioni che significano entrambe: ‘sii gentile’”. “Sì, giusto – precisa lui – ma ‘be kind’ ha un’accezione in più, vuol dire ‘sii gentile’, ma provando a superare ciò che hai sempre fatto e sfidando anche gli altri a fare meglio”.
Allora verrebbe da dire che l’anno appena chiuso sia stato solo “nice”: non è che proprio si sia superato nella performance…
In realtà è stato un anno positivo per il mercato truck, che ha chiuso con numeri che inizialmente nessuno pensava fossero alla sua portata. Un primo semestre positivo, dovuto da una parte alla coda di domanda insoddisfatta – discorso che non ha interessato Volvo Trucks in verità, avendo noi già da tempo regolarizzato le tempistiche di consegna dopo i problemi del Covid e dello shortage – e dall’altra all’effetto della normativa GSR, con i mesi di maggio e giugno protagonisti di una vera e propria corsa all’immatricolazione. Nella seconda parte dell’anno poi, il calo che ha portato al risultato finale, comunque migliore rispetto a quello di molti dei nostri vicini di casa. D’altra parte l’Italia è un mercato di sostituzione: i veicoli, che hanno un’età media tra i 12 e 13 anni, devono necessariamente essere cambiati. È naturale soffrire meno rispetto, ad esempio, alla Germania, dove il parco ha la metà degli anni del nostro. Per quanto riguarda Volvo Trucks, non possiamo che essere soddisfatti: nel 2022 e nel 2023 siamo stati il primo marchio estero in Italia, nel 2024 ci siamo posizionati terzi, dopo Iveco e Scania.
È stato un anno che ha visto il lancio della cabina Aero, prodotto che sta sovraperformando rispetto alle attese. Casa madre ci aveva garantito una diminuzione dei consumi del 5 per cento, mentre il feedback dei clienti ci parla di valori che si aggirano tra i 7 e l’8 per cento. È un’indicazione dell’importanza di lavorare non solo sul motore, ma anche sul design, in tutte le direzioni: sarà ciò che continueremo a fare in futuro, e mi aspetto che anche altri marchi scelgano di percorrere la stessa strada. La nostra performance è stata migliore sui carri, un settore meno soggetto a dinamiche esogene, e più allineato a quello che è sempre stato il nostro modo di lavorare: ordine-allestimento-ritiro. Lo scorso anno l’FMX ha riportato un ottimo risultato: quando un cliente lo prova non torna più indietro. Il problema sono state le difficoltà che hanno avuto i partner con i tempi di lavorazione. In Italia, a differenza di altri mercati esteri, il numero di allestitori è elevatissimo, e ognuno di loro realizza un numero ridotto di veicoli nel contesto di una dimensione artigianale, molto spesso familiare. Questo spesso fa sì che la pianificazione del lavoro non sia eccellente e si verifichino dei ritardi nelle consegne.

Nel 2024 ci sono state importanti aperture a livello di rete, ce ne saranno altre quest’anno?
Riguardo alla rete abbiamo una situazione stabile: le vendite vengono effettuate per circa il 50 per cento da noi o dalle concessionarie di nostra proprietà, e per l’altra metà dai dealer, tutti partner con cui intratteniamo con reciproca soddisfazione rapporti di lunga data. La novità più importante dell’anno è stata l’apertura del Volvo Truck Center di Milano: avevamo bisogno di un avamposto nella zona sud della città, riuscendo già a coprire bene la parte nord con Varese. Siamo molto soddisfatti di questi primi mesi non solo per l’affluenza dei clienti locali, ma pure per il traffico di quelli di passaggio: Trezzano è una zona strategica sull’asse Torino-Venezia. Abbiamo poi consolidato la nostra presenza in Toscana, con il raddoppio su Livorno di Cavi Center, e abbiamo anche rilevato da un partner privato che voleva cessare il business l’officina di Alba. Impensabile lasciare scoperta la zona, dove tantissimi trasportatori operano soprattutto per conto di Ferrero, e così siamo intervenuti direttamente. Oggi la rete dei Volvo Truck Center vanta 16 punti di assistenza e 200 persone impiegate: se pensiamo che nel 2005, quando iniziavo a lavorare per Volvo Truck Center, le officine erano tre, l’entità della nostra crescita è evidente.
Quali sono state le maggiori difficoltà che avete raccolto dai vostri clienti nell’esercizio della loro attività, e come i vostri servizi li hanno aiutati a gestire meglio le loro problematiche?
Il panorama italiano delle aziende di trasporto è sempre stato costituito, come dicevamo prima a proposito degli allestitori, da piccole aziende, a differenza di Paesi come la Francia o la Spagna capaci di esprimere più flotte di grandi dimensioni. Piccolo è bello, però non sempre è la soluzione giusta. La velocità con cui le case stanno migliorando la tecnologia, soprattutto in tema di consumi come abbiamo fatto noi con Aero, fa sì che oggi un parco moderno regali vantaggi competitivi importanti, strutture di costi differenti rispetto ai veicoli più âgée, la possibilità di trattenere gli autisti con camion confortevoli e livelli di uptime che fanno la differenza. Oggi il 60 per cento delle macchine che vendiamo ha un contratto di servizio, che significa anche connettività, con l’officina che chiama direttamente il cliente per segnalare per tempo quando il singolo componente è a rischio di un problema, in modo da scongiurare, appunto, il downtime. D’altra parte lo scenario internazionale è cambiato, complice la crisi del centro Europa, e quella vissuta dai paesi dell’est nell’ultimo anno, e c’è una pressione sui costi per l’azienda di trasporto che riteniamo non dover gestire solo con la leva prezzo: le aziende oggi ragionano sul TCO, nel quale rientrano l’affidabilità del mezzo, la telematica e una rete di valore pronta all’assistenza.

Come prevede che il mercato dei veicoli industriali possa evolversi nel 2025?
I dati sui volumi di trasporto che raccogliamo grazie alla connettività ci proiettano mesi avanti e costituiscono quindi per noi un importante strumento di valutazione. Durante il periodo Covid, per fare un esempio, la ripartenza del mondo del service a settembre del 2020 era prevedibile guardando l’utilizzazione dei veicoli a giugno. Queste analisi oggi ci permettono di capire che a meno che non succeda qualcos’altro – perché ormai fare le previsioni è diventato uno sport un po’ complicato – nel 2025 il mercato avrà uno sviluppo inferiore a quello di quest’anno, circa il 10% in meno. Quanto alla transizione, partita importantissima da continuare a giocare, se abbiamo in passato spinto con convinzione sull’elettrico, da un anno e mezzo abbiamo rivisto la nostra comunicazione. Non esiste una soluzione, ma esistono diverse tecnologie incrementali.
L’HVO non può essere l’unica risposta perché non abbiamo abbastanza materiale di scarto, e l’ultimo degli scenari che auguro a questo mondo è che l’Africa venga ricoperta di piantagioni per far viaggiare i nostri camion. L’elettrico sta facendo tantissima fatica: nel 2023 sono stati immatricolati 31 veicoli, nel 2024 23, di cui il 60 per cento Volvo Trucks. Sono troppo pochi: se è lo strumento ideale per l’ambito urbano, sul lungo raggio le aziende ci dicono che andranno avanti a diesel, con costi certi e una tecnologia nota. Almeno finché non sarà vietato. L’LNG, il cui mercato nel 2024 ha immatricolato 300 macchine, è stato scartato troppo presto, e invece è importante, perché di gas ne abbiamo tanto e perché il biogas garantisce la neutralità carbonica. Nel contesto attuale quello che dovrebbero fare le aziende è relativamente semplice: in base al lavoro, al tipo di mission, alle richieste della committenza, concedersi di avere veicoli di diverse tecnologie.
In attesa dell’idrogeno?
Non credo che neppure quella sarà la risposta, perché ha costi di produzione elevatissimi, ma questo non vuol certo dire smettere di ottimizzare la tecnologia. Volvo Trucks sta procedendo al suo sviluppo su due piattaforme: sfruttando l’LNG, con un motore a combustione interna alimentato ad idrogeno, e lavorando allo sviluppo del veicolo elettrico, con le celle combustibili: ecco le tecnologie una figlia dell’altra, incrementali.

Il 2025 segna una tappa importante per voi costruttori nell’adempimento della normativa sul taglio delle emissioni di CO2 dell’immatricolato: cosa succederà?
Il 2025 è una battaglia che si può affrontare, è quella del 2030 che oggi è di fatto ingiocabile. Non è immaginabile pensare di avere il 50 per cento di veicoli elettrici in cinque anni quando oggi ne immatricoliamo 24 in 1 anno. È folle. Questa però non deve essere una scusa per rinunciare. Dobbiamo continuare a spiegare ai nostri clienti che l’elettrico, per tutte le tipologie di lavori legati all’ambito urbano e interurbano, è la soluzione migliore. Non capisco perché se lo stiamo capendo nel settore degli autobus non dobbiamo fare lo stesso ragionamento, per esempio, in ambito di raccolta rifiuti. Lì sì che la transizione all’elettrico può essere fatta subito, con vantaggi per tutti. Ma se occorre essere coerenti e consistenti con la strategia attuata fin qui, è anche vero che qualcosa deve cambiare, ad esempio il tema dei biocarburanti deve necessariamente rientrare nella discussione per il 2030. Insomma, all’Europa serve d’ora in poi una buona dose di pragmatismo, per non far perdere ad un’industria che ha investito e dimostrato di essere anche pronta a cambiare, la sfida più importante.