Intervista esclusiva a Alessandro Peron, segretario generale FIAP
Dopo aver affrontato qui le modifiche del nuovo CCNL relative alla questione salariale, al tema della discontinuità, alla retribuzione delle trasferte e alla classificazione del personale, passiamo, sempre con il prezioso aiuto di Alessandro Peron, segretario FIAP, a trattare passaggi particolarmente spinosi, quelli relativi alle responsabilità dei lavoratori e dei datori di lavoro.
Alessandro Peron, l’accordo di base ha modificato una questione molto dibattuta, quella dei provvedimenti disciplinari nei confronti dei dipendenti: cos’è cambiato?
Certamente si tratta di una tematica delicata sulla quale siamo intervenuti per rendere casistiche e sanzioni ancora più certe. I provvedimenti disciplinari si articolano su rimprovero verbale, rimprovero scritto, multa e sospensione, nella formulazione precedente, “da uno a dieci giorni”. I sindacati hanno fatto emergere in sede di lavori che il range era troppo ampio e che veniva lasciato un eccessivo arbitrio all’impresa nella determinazione finale del quantum. Oggi i comportamenti sanzionabili sono divisi in due gruppi: quelli che vengono censurati con la sospensione da uno a cinque giorni, e quelli che invece autorizzano l’azienda a lasciare a casa il dipendente da sei a dieci. Quanto alle azioni che assumono rilevanza ai fini disciplinari, l’unica fattispecie che abbiamo aggiunto è la mancata frequenza dei corsi sulla sicurezza. L’aumento dell’incidentalità nel nostro settore è da ricondurre anche a questa negligenza, e vorrei che tenessimo presente che i corsi vengono eseguiti tutti in orario di lavoro o vengono comunque pagati come se lo fossero.
Saliamo di un gradino nella scala degli argomenti più dibattuti e parliamo di risarcimento dei danni.
Sì, questo articolo è stato una delle pietre di inciampo più ingombranti perché da parte dei sindacati veniva lamentato un uso pretestuoso dello strumento, come escamotage per togliere denaro in busta paga agli autisti, dall’altra però i datoriali si facevano portavoce anche di aziende che, non avendone mai approfittato, non capivano il senso di cambiare una regola corretta nel principio. La soluzione è stata innanzitutto definire due obblighi importanti per l’azienda, pena la nullità della richiesta di risarcimento. Il primo, comunicare annualmente alle RSA/RSU, rappresentanze sindacali i riferimenti e condizioni dei contratti di assicurazione stipulati; il secondo, produrre un preventivo o una documentazione idonea che valorizzi l’entità del risarcimento richiesto.
Quanto all’importo, potrà essere addebitata l’intera somma per danni fino a 1.000 euro; in caso di danni di valore superiore potrà essere richiesto il 75 per cento dell’importo fino ad un massimo di 5.000 euro. Per gli autisti di veicoli sopra i 35 quintali, l’importo addebitabile per l’intero valore del danno al mezzo potrà arrivare a 3.000 euro, mentre nei casi di danni con importi superiori potrà essere addebitato il 75 per cento fino ad un massimo di 15.000 euro. Solo per gli autisti di veicolo sotto i 35 quintali, esclusi i casi di dolo o colpa grave, per ogni anno il primo danno al mezzo non potrà essere addebitato, mentre il secondo danno lo potrà essere fino al 65 per cento, a patto che nei dodici mesi il lavoratore abbia causato un numero di sinistri inferiore a tre. Abbiamo voluto dare rilevanza alla recidiva, soprattutto pensando alle aziende di distribuzione che a causa del turnover molto alto e dell’elevata incidentalità fanno fatica ad ottenere polizze kasko.
Continuiamo a parlare di comportamenti scorretti dei dipendenti: questione assenteismo, come è stata gestita nel nuovo testo?
Il tema è centrale per le associazioni datoriali perché oggi abbiamo un tasso di assenteismo, soprattutto sui magazzini, che ha superato il 10 per cento, un valore inaudito. Come ciò sia possibile lo sappiamo tutti: i medici sono troppo compiacenti, e spesso accordano giorni di malattia senza neppure visitare il paziente. Non ci sono spiegazioni diverse, basti pensare che l’alto tasso di assenteismo si focalizza casualmente nelle giornate di venerdì e lunedì. Bene. Anzi, male. Cos’è stato alla fine condiviso. Intanto è stata estesa la platea di riferimento, che oltre al personale viaggiante e a quello operativo collegato alla movimentazione della merce, ricomprende oggi anche i magazzinieri. Oltre a ciò la norma si applica non solo, come prima, agli eventi di malattia successivi a giornate non lavorative, ma anche a quelli precedenti. Infine gli accordi di secondo livello sono chiamati a regolamentare le modalità attraverso cui le somme non pagate ai lavoratori protagonisti di episodi di assenteismo verranno investite in premi di produzione. Questo per sottolineare che i lavoratori vanno pagati quando fanno bene il loro lavoro, ma che l’assenteismo va combattuto con risolutezza, perché è una piaga dilagante che determina una mancanza di produttività dannosa per il sistema Paese.
Certamente i lavoratori devono fare, e bene, il loro dovere. Invece tra i doveri dei datori di lavoro, uno dei principali è garantire la sicurezza dei luoghi dove l’attività viene svolta.
E infatti è stato modificato l’articolo 46 sulla sicurezza dei luoghi di lavoro, all’interno del quale abbiamo ritenuto opportuno inserire disposizioni che per la verità non sono differenti da quello che già sanciscono le norme di legge generali: è stato un modo per sottolinearne l’importanza. È stato poi aggiunto, oltre al rappresentante aziendale per la sicurezza, anche il ruolo del rappresentante per la sicurezza di sito: nel caso di un interporto o di un porto, dove coesistono più attori che svolgono diverse tipologie di trasporto, è fondamentale che venga individuato un referente unico che abbia tutto sotto controllo: è stato voluto dai Sindacati, giustamente, e rafforza un concetto basilare in un settore dove l’incidentalità è alta.
Continuiamo con i diritti dei lavoratori: può essere forse letto come una declinazione della sicurezza dell’ambiente di lavoro la possibilità di disconnettersi dai dispositivi digitali? Spegnere il cervello, riposarsi, finalmente?
Il diritto alla disconnessione oggi è entrato nel CCNL. Si tratta di una norma europea che ancora non è stata recepita dall’Italia, ma che su richiesta dei Sindacati abbiamo inserito per confermare il sacro diritto del dipendente di disconnettersi dai sistemi informatici aziendali fuori dall’orario di lavoro. Da parte datoriale abbiamo solo voluto specificare l’ambito di esclusione dall’applicazione di questa fattispecie, che riguarda chi ha un ruolo di responsabilità. Perché se lo ricopre evidentemente percepisce uno stipendio che paga una responsabilità che a volte si manifesta con la disponibilità in caso di emergenza di “connettersi” con l’azienda.
L’eccezione riguarda dunque “il personale viaggiante per le comunicazioni necessarie a regolare lo svolgimento dell’attività lavorativa del conducente o per garantire la sicurezza del conducente stesso, del veicolo e della merce”. È giusto che sia così, e ve lo spiego: non è che i titolari delle aziende di trasporto amino passare il loro tempo a tempestare di telefonate gli autisti per disturbarli o interrompere di proposito il loro riposo. Ma se l’azienda riceve un allarme per un portellone che è stato aperto, o se il gestore del traffico ha la necessità di comunicare un cambiamento degli orari per il giorno dopo, non è forse anche nell’interesse dell’autista essere informato per tempo e non trovarsi poi a dover fare i conti con un problema più grande? E in ogni caso, cerchiamo di essere realisti: nessuna azienda mi ha mai raccontato di aver fatto un richiamo al dipendente per non aver risposto al telefono.
Ultimo tema, per questo numero, quello del diritto al buono pasto: durante la contrattazione, parlando con il segretario Diamante, era emersa la tematica, e ci era parsa piuttosto sentita.
Facciamo subito un distinguo: nel caso degli autisti il buono pasto è compreso nella trasferta. La richiesta del Sindacato era indirizzata al mondo dei magazzini. Ma qual è la difficoltà? Intanto molte aziende già prevedono il buono pasto, e fissare un importo base significa potrebbe ridimensionarne nella maggioranza dei casi il valore. In secondo luogo potrebbe esistere un problema fiscale: il buono pasto oggi è uno strumento di welfare, e quindi esente dai contributi. Se lo trasformiamo in diritto, come volevano i Sindacati, diventa parte contrattuale, una voce dello stipendio che potrebbe assumere quindi rilevanza ai fini previdenziali. Le questioni, come non mi stancherò mai di ripetere, vanno analizzate a fondo, e soprattutto senza usare il vecchio filtro della contrapposizione padrone-lavoratore, con il primo alla costante ricerca di tutti gli stratagemmi per “fregare” il secondo.