Incentivi, infrastrutture e digitalizzazione, il potenziale di crescita nell’intermodale

10 Settembre 2024
6 mins read

Intervista a Emanuele Arcese, presidente sezione Trasporti Intermodali e Contenitori di ANITA

Il trasporto merci si suddivide in mission diverse, sia per tratte da percorrere sia per tipo di vettore utilizzato. In Italia il trasporto intermodale, la combinazione tra gomma, ferro e nave, è da molti anni considerato una risposta efficace a tante necessità: meno traffico e più sicurezza sulle strade, meno inquinamento, una migliore qualità di vita degli autisti. Il pieno sviluppo dell’intermodalità però si scontra con difficoltà di carattere infrastrutturale e con la necessità di una maggiore integrazione e digitalizzazione. Di tutto ciò parliamo con Emanuele Arcese, membro del Comitato Esecutivo di uno dei più grandi gruppi italiani di trasporto e logistica, al quinto posto per fatturato, il Gruppo Arcese, nonché presidente della Sezione specializzata in trasporto intermodale di ANITA, l’associazione delle aziende che fanno parte di Confindustria.

Emanuele Arcese, nei prossimi 25 anni è previsto in Europa un forte aumento del trasporto merci. I Paesi dell’Unione avranno bisogno di impiegare più efficacemente tutte le modalità di trasporto per rispondere a questa domanda. E quindi anche di più trasporto intermodale.

Sì, corretto, e l’intermodalità deve crescere perché ad oggi, in Europa, trasporta ancora una percentuale di merci molto bassa rispetto al “tutto gomma”. A questo proposito ANITA raccoglie al proprio interno i principali operatori intermodali con l’obiettivo di migliorare quello che oggi è un settore particolarmente sfidante. È difficile stabilire il numero esatto di quante in totale siano oggi le aziende che si avvalgono del trasporto combinato, ma quelli che muovono volumi significativi sono pochissimi, forse meno di una decina: sicuramente c’è un potenziale rilevante di crescita dell’intermodale in Italia.

L’intermodalità è un gioco per grandi operatori che taglia fuori le piccole e medie aziende? 

Attualmente sono le medie e le grandi aziende che utilizzano l’intermodale e si avvalgono delle aziende medio-piccole per i servizi dell’ultimo miglio, come fornitori stradali per back-up all’intermodale o per la gestione dei picchi o di stagionalità particolari.

Strada-ferrovia e strada-nave. Quale intermodalità si è sviluppata meglio in Italia e quali invece le problematiche ancora da risolvere?

In Italia, per motivi geografici e infrastrutturali, negli ultimi anni si è sviluppato decisamente meglio il combinato terra-mare, specialmente su quelle rotte dove la strada presenta difficoltà reali. Il trasporto strada-ferrovia invece oggi non ha un effettivo vantaggio competitivo rispetto al tutto strada e negli ultimi anni ha avuto grandi problemi a livello di qualità di servizio.

L’Italia è una piattaforma logistica all’interno del Mediterraneo, e questo aiuta sicuramente il combinato gomma-nave. L’orografia del nostro Paese, al contrario, rende più difficile il combinato con la ferrovia, che però è fondamentale, ad esempio, per passare la barriera delle Alpi… 

È vero, ma nell’ultimo decennio ci sono stati miglioramenti soprattutto verso la Svizzera, un Paese che ha finanziato lo sviluppo dell’intermodale facendosi carico anche dei problemi italiani. Il passaggio verso la Svizzera ora ha sicuramente una posizione di vantaggio infrastrutturale rispetto al corridoio del Brennero, o anche a quelli del Tarvisio o del Frejus. I fondi del PNRR in questi ultimi anni hanno dato un contributo importante alla ristrutturazione e allo sviluppo, a livello europeo ma anche italiano, del reticolo ferroviario. In prospettiva, tra dieci-venti anni, quando i lavori, soprattutto quelli relativi alle nuove gallerie, saranno terminati, avremo un vantaggio importante nel trasporto merci su ferro. Ma oggi le opere in corso, per come sono state pianificate, stanno determinando un rallentamento del traffico e un decremento del volume intermodale. Un rapporto della International Union for Road-Rail Combined Transport – UIRR, ha segnalato un calo del 9 per cento delle ton-km che hanno viaggiato su ferro tra il 2022 e il 2023.

I fondi del PNRR stanno aiutando a ristrutturare la rete ferroviaria italiana ed europea, ma i tanti cantieri aperti in contemporanea paradossalmente peggiorano, almeno temporaneamente, la situazione? 

Confermo, e peggiorano di conseguenza i conti economici delle imprese ferroviarie. In Europa ce ne sono una trentina, gli operatori più grandi sono meno di dieci. Tendenzialmente quasi tutti hanno conti economici e bilanci che sono sotto lo zero o di poco sopra. Questo ha peggiorato ulteriormente la situazione di un settore già in difficoltà, e che non può scaricare l’aumento dei costi sulla committenza. E questo porta fondamentalmente a un allontanamento dall’intermodale, perché oggi abbiamo un servizio peggiore, e che costa anche di più. Risultato, una riduzione dei volumi di merci trasportate.

C’è anche l’obiettivo della sostenibilità ambientale, aiutata dal trasporto intermodale, ma necessariamente collegata alla sostenibilità economica. Gli operatori logistici più volentieri passerebbero all’intermodalità se questa fosse più sostenibile economicamente. In Italia, per aiutare in questo passaggio, ci sono il marebonus e il ferrobonus. 

Marebonus e ferrobonus hanno aiutato, non si può dire il contrario. E seppur il valore del ferrobonus sia variato nel corso degli anni da 0,6 a 1,5 – 1,6 euro al chilometro rimane comunque molto basso. Tra l’altro le aziende, non avendo la certezza di questo contributo, tendono a non considerarlo nello stabilire il prezzo verso la committenza. Viene considerato come un valore a valle del processo produttivo. Fosse gestito diversamente, se si conoscesse prima, l’approccio al mercato potrebbe essere diverso e il bonus potrebbe dare un contributo maggiore alla crescita dell’intermodale.

Recentemente la Commissione europea ha proposto una modifica della direttiva sul trasporto combinato. L’IRU, l’International Road Union, chiede a nome degli operatori dell’autotrasporto un accesso più facile agli incentivi, un metodo di calcolo più semplice, basato sulla distanza percorsa dalle merci piuttosto che sui costi esterni. Pensa che questo renderebbe più facile la vita agli operatori intermodali? 

Sicuramente la prima proposta della Commissione Europea si basava su un algoritmo che teneva in considerazione le esternalità in modo particolarmente complesso, di non facile gestione per aziende medio piccole. L’approccio dell’IRU è da condividere. Peraltro una seconda bozza presentata dalla Commissione Europea parte da queste riflessioni. Ciò che importa è che il valore del bonus si sappia fin dall’inizio, e non dopo.

Torniamo all’Italia. Le infrastrutture dedicate all’intermodalità, soprattutto porti e interporti, sono sufficienti? 

Dobbiamo pensare a quelli che sono gli obiettivi a livello europeo, secondo il Green Deal. Se vogliamo aumentare in maniera significativa la percentuale di tonnellate-chilometro movimentate via ferro o via nave, sicuramente le nostre infrastrutture sono poche e anche mal posizionate. È fondamentale uno sviluppo consistente e ragionato.

ANITA ha collaborato e collabora con RFI, Rete Ferroviaria Italiana. Oggi c’è una nuova possibilità di incrementare i volumi di trasporto combinato strada-ferro con l’aiuto di Easy Rail Freight.

Easy Rail Freight è una piattaforma, un database che permette agli operatori e a tutti gli stakeholder del mondo intermodale di accedere a informazioni utili per servirsi dell’intermodalità e accrescerne i volumi di traffico. Parlando di digitalizzazione più in generale l’intelligenza artificiale sta iniziando ad affacciarsi anche nel nostro mondo e può dare un contributo sostanzioso. All’interno di Arcese stiamo lavorando a progetti legati alla predeterminazione dei volumi da poter mettere sul treno.

La catena logistica si basa sull’efficacia e sul just-in-time. Quanto incide negativamente il tempo di attesa che a volte si subisce nei porti o negli interporti? 

L’attesa di un veicolo per entrare in un terminal può avere un’incidenza che arriva fino al 20 per cento del costo del trasporto door-to-door. Se si riuscisse ad azzerare questi tempi di attesa la profittabilità delle aziende e il livello di competitività dell’intermodale sarebbero di gran lunga migliore. Per questo si sta lavorando sulla digitalizzazione dell’accesso all’interno dei terminali.

Qual è la percentuale di trasporto intermodale nell’attività quotidiana di gruppo Arcese? 

A livello europeo più o meno il 40 per cento del nostro movimentato è intermodale, sia via nave sia via ferro. Lungo i corridoi più maturi, dove esiste un servizio qualitativamente ed economicamente sostenibile, arriviamo fino all’80-90 per cento. Nei collegamenti Italia-Spagna, Italia-Nord Europa, verso la Scandinavia, la Ruhr, il Benelux e l’Inghilterra, l’intermodale rappresenta una quota assolutamente primaria.  Importanti per i nostri trasporti combinati anche la Romania e, da ultimo, la Repubblica Ceca e Polonia dove a breve lanceremo due nuove partenze settimanali arrivando a cinque partenze tra Manoppello e Verona per il terminal di Ostrava in Repubblica Ceca da dove terminalizziamo per la repubblica Ceca e per la Polonia. Il gruppo Arcese negli ultimi quindici anni ha investito notevolmente in tal senso. Siamo passati dall’avere, all’interno del gruppo, 1.500 camion e 1.700 rimorchi a poco meno di 400 camion, ma più di 3.500 rimorchi. Noi abbiano effettivamente realizzato questo shift modale perché ci credevamo, sia dal punto di vista operativo ed economico, ma anche per rispetto verso l’ambiente. Sicuramente il risparmio di CO2 generato è notevole.

Bio

Emanuele Arcese è Global Vice President Road Freight Full Truck Load e membro del Comitato Esecutivo del Gruppo Arcese. Dal settembre del 2020 è presidente della Sezione trasporti Intermodali e Contenitori dell’Anita. Nato a Riva del Garda il 14 febbraio 1983, laureatosi a Verona in Economia, entra nel gruppo Arcese nel gennaio 2006, occupandosi del settore vendite. Dal 2009 al 2019 è responsabile degli acquisti del Gruppo e promotore e fautore dello sviluppo intermodale dell’azienda. Tra il 2015 e il 2017 segue un Executive MBA presso la Bologna Business School. Nel 2019 entra nel Comitato Esecutivo di Arcese e assume l’incarico di FTL Road Freight Director, diventando nel gennaio del 2023 Global Vice President FTL Road Freight. 

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