Raffaele Ghedini: Trump e il vaso di coccio Europa

CAMERA CON VISTA SUL MONDO La parola all’economista Raffaele Ghedini

Inauguro questa nuova rubrica con una “Riflessione di Scenario” sulle implicazioni più significative, a livello macro, dell’elezione del 47° Presidente degli USA Donald Trump. L’insediamento a questo suo secondo mandato non consecutivo ha creato in tutto il mondo un’eco di commenti, speranze, e soprattutto paure. Già durante il primo discorso da Presidente, Trump ha detto moltissime cose, e fin qui nulla di nuovo sotto i cieli della politica, ma dopo averle dette ha iniziato immediatamente a farle, e sotto quei cieli questa sì è una novità assoluta e sconvolgente. Entro il secondo giorno da Presidente Trump ha firmato un centinaio di Ordini Esecutivi. All’interno di questa “massa normativa” mi limiterò a ricordare una manciata delle azioni più dense di implicazioni, a titolo solo esemplificativo dell’ampiezza di impatto sociale, oltre che economico, che questa Presidenza intende avere e, molto probabilmente, avrà.

Il Professor Raffaele Ghedini, economista

Una valanga di Ordini Esecutivi

Il tema dell’immigrazione illegale al confine tra gli Stati Uniti e il Messico è stato uno dei pilastri della vittoria elettorale di Trump. Lo aveva promesso, ha provveduto il primo giorno di mandato: la dichiarazione di emergenza nazionale con la designazione dei cartelli criminali come organizzazioni terroristiche e la modifica delle norme sulla definizione della cittadinanza per nascita hanno già cambiato il mondo, per la quantità enorme di persone coinvolte, dichiarando a tutti che, da oggi, l’Impero non accetta immigrazione illegale, la combatte sul proprio territorio e ovunque nel mondo ci siano organizzazioni che si arricchiscono con la versione contemporanea della tratta degli schiavi. Ho usato un termine forte, Impero. È infatti mia opinione che stiamo vivendo una fase storica di tardo impero, che molti nuovi attori considerano come tale aspirando a nuovi ruoli per sé stessi e che, come la Storia insegna, può essere accelerato, decelerato o addirittura invertito dal comportamento della capitale, gli USA.

Un altro tema immediatamente gestito è quello riassunto nella dichiarazione di Trump che esistono due soli generi: maschio e femmina. Un Ordine Esecutivo ha revocato il sostegno federale ad ogni attività intesa a promuovere la diversità, la sua inclusione sociale e i diritti delle persone Lgbtq+ e delle minoranze razziali. Altra promessa elettorale significativa riguardava la riduzione del perimetro di intervento federale sui temi economico-sociali: subito è stata fatta una riclassificazione di migliaia di dipendenti federali, rendendone più facile il licenziamento, e sono state fermate le politiche di lavoro a distanza, nonché eliminate molte spese amministrative e le pratiche di rendita che aumentano i costi sanitari. E’ stato anche disposto un congelamento immediato delle assunzioni federali.

Quella “ridicola truffa verde”

Snodo centrale della visione trumpiana è la battaglia contro il Green Deal, con la promessa di ritirare gli USA dagli accordi di Parigi sul clima e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Anche in questo caso immediata è stata la firma per il ritiro, accompagnata dalla dichiarazione dell’emergenza energetica nazionale, subito affrontata con la revoca degli ordini esecutivi della precedente amministrazione sulla protezione ambientale e il contrasto al cambiamento climatico, ritenuti responsabili di aver creato “una fornitura di energia pericolosamente inadeguata e intermittente, e una rete sempre più inaffidabile”. Non solo, viene sciolto l’Interagency Working Group, finora responsabile della valutazione del costo sociale dei gas serra, e viene riorganizzata la Environmental Protection Agency (EPA), con una revisione copernicana dei criteri di valutazione dell’impatto ambientale, che sostituiscono l’eliminato “costo sociale della CO2“, nonché di tutta la regolamentazione settoriale, con uno snellimento importante dei processi autorizzativi per i progetti energetici.

La promessa che appare la risultante di tanti interventi è quella di riempire le riserve strategiche di petrolio degli USA, perché “abbiamo la più grande quantità di petrolio e gas di qualsiasi altro Paese, e la useremo. Questo non solo ridurrà il costo di quasi tutti i beni e servizi, ma renderà gli Stati Uniti una superpotenza manifatturiera”. Come Trump ha detto nel suo intervento a Davos: “Ho messo fine al ridicolo e incredibilmente dispendioso Green New Deal. Io lo chiamo la truffa verde”. Può apparire un po’ grezzo, ma non difetta di chiarezza. Qui il tema dell’energia si collega con quello economico e, nella visione di Trump, anche con quello politico, ed infatti esorta l’OPEC e Riad ad abbassare il prezzo del petrolio.

Toni concilianti riservati al solo Xi Jinping

Rimaniamo sugli aspetti geopolitici e internazionali. Pechino è sullo sfondo di ogni pensiero di Trump. E’ la sfidante a divenire capitale del nuovo Impero, e infatti, in mezzo a tanti schiaffi impartiti a tutti, l’unico interlocutore a cui è riservato un tono conciliante è Xi Jinping, che Trump arriva ad augurarsi, seppur incidentalmente e strumentalmente, dalla propria parte: “Mi auguro che Pechino possa aiutare a fermare la guerra in Ucraina”. Questo ci permette di comprendere bene come, nella testa del nuovo Presidente, l’impatto che la governance economica del mondo ha sulla politica sia essenziale, e infatti ha già minacciato Putin di dazi se non porrà immediatamente fine al conflitto. A proposito di economia, però, va notato come abbia sorpreso molti commentatori la scarsità di particolari sulle idee trumpiane di politica economica.

Ha solo detto che abbasserà “le tasse dal 21 al 15% per chi produrrà negli Stati Uniti”; che chiederà “che i tassi di interesse calino immediatamente”; e ha promesso tasse più basse per le aziende che trasferiranno la produzione negli USA, minacciando di imporre dazi contro chi non lo farà (Stellantis ha subito annunciato importanti investimenti negli USA, prima casa automobilistica ad allinearsi). La scarsa articolazione degli strumenti non deve meravigliare: la politica economica di Trump si compone di due semplici meccanismi. Sul fronte politico-finanziario il controllo dell’energia dà il potere, togliendo ad altri aspiranti, come Putin, la possibilità di competere, e dall’altro permette di controllare i prezzi delle materie prime che la generano e il livello di inflazione. Sul fronte economico un livello molto basso di tasse nella capitale dell’Impero rende il produrvi particolarmente vantaggioso; chi viene è un amico, e va difeso, chi gioca contro va combattuto, per il momento con i dazi, poi con qualsiasi mezzo a disposizione.

La reazione dell’Europa

Se le parole e i fatti di Trump sono stati tanti, sul fronte nazionale ed europeo i fatti nessuno e la pressoché totalità delle moltissime parole intese solo a scandalizzarsi di quanto siano grezzi questi cow-boys. Ahinoi, la classe politica europea non sembra brillare per doti interpretative degli avvenimenti come il Gattopardo di Tomasi e, proprio a causa di ciò, difficilmente noi europei possiamo aspirare per il futuro a magnifiche sorti e progressive come Angelica e Tancredi.

Tre sono i principali motivi di scandalo denunciati da ogni angolo d’Europa (continentale! Gli inglesi, come sempre, sono pragmatici…).

  1. L’indegnità personale. Trump è un uomo grezzo, fastidioso agli usi e costumi della colta Europa, e in più è impresentabile: è il primo Presidente ad essere eletto con una condanna in capo, dalla quale è protetto da una discutibilissima immunità, ed è un uomo talmente privo di senso istituzionale da aver favorito niente meno che un attacco al Campidoglio, arrivando ora a concedere la grazia a circa 1.500 dei suoi sostenitori che lo avevano devastato quattro anni fa. A questa obiezione rispondiamo che una qualunque norma di uno Stato terzo non può essere giudicata se non in termini di legittimità rispetto alle norme di quello Stato e del diritto internazionale. Se invece ci si vuole spostare sul piano morale, nelle ultime ore del suo mandato il Presidente uscente ha concesso la grazia a tre esponenti della sua amministrazione (Milley, Fauci e Cheney) e a cinque membri della sua famiglia. E se pensiamo alla caratura morale della politica recente di molti altri Stati… attendiamo pazientemente che chi è senza peccato scagli la prima pietra…
  2. Il rischio democratico. Trump appare come il veicolo politico della presa di potere assoluto da parte di un gruppo di tecnocrati che, collegati come sono alle Major-Fin di Wall Street, ha già un controllo oligopolistico ad elevatissima concentrazione del mondo economico-finanziario. Ci si chiede quindi: è accettabile che il mondo sia governato da un club di una decina di persone che accentrano tutto il potere finanziario, tecnologico e, ora, politico? No, non dovrebbe essere accettabile! Ma, ci chiediamo, cosa hanno fatto i governi nazionali europei perché quell’esito inaccettabile non divenisse realtà? Prima di discutere di imporre qualche limite alla crescita smisurata di aziende-piovra, che si sono comportate sui mercati nazionali come vere e proprie armi di distruzione di massa di intere filiere produttrici e di servizio, quanto hanno battagliato i governi nazionali a suon di incentivi per attrarre quel mostro in cambio di qualche centinaio di assunzioni, senza alcun vincolo effettivo di tempo?
  3. Il mancato rispetto delle Istituzioni internazionali. Contravvenendo all’etichetta atlantica, Trump non ci tratta come partner, ma come normale “Rest of World”, e si lamenta esplicitamente dei nostri comportamenti in tema di spesa militare e di barriere legali che impattano sui prodotti americani. Se su alcuni temi noi europei abbiamo ragione da vendere e i regolamenti più attenti per la qualità alimentare e la sicurezza dei cittadini sono un segno della nostra evoluzione culturale più avanzata, su altri? Non abbiamo forse approfittato per decenni del fatto che quando serviva il fucile ci pensava lo zio Tom? Risparmiando un sacco di soldi che, non investiti per la difesa, non sono stati dirottati ad altre forme di investimento a maggior moltiplicatore, ma in gran parte a spese pubbliche che avevano lo scopo di gestire un facile consenso da parte delle varie classi politiche locali.

Chiarito perché l’atteggiamento scandalistico da nobili decaduti non si addice a noi Europei, possiamo tornare a considerare il fatto che Trump è arrivato preparatissimo a questo suo secondo mandato (una simile quantità ed efficacia di Ordini Esecutivi non si improvvisa, occorrono mesi di lavoro preparatorio) e che governa all’interno di una architettura istituzionale che ha già dato prova di efficacia e di velocità eccezionali. Questo è il vero tema con cui il mondo è oggi chiamato a confrontarsi, non i singoli provvedimenti. E allora qualche riflessione per capire se e come stiano reagendo a questa novità assoluta le donne e gli uomini che hanno il potere politico nei Paesi chiave dell’UE.

A Davos, Trump ha esplicitamente criticato l’eccessivo surplus commerciale europeo verso gli Stati Uniti, e ha difeso le Big Tech dalle multe minacciate da Bruxelles con l’argomentazione che «questo non è giusto». Abbiamo appena scritto che una qualunque norma di uno Stato terzo non può essere giudicata se non in termini di legittimità rispetto alle norme di quello Stato e del diritto internazionale, quindi ci saremmo aspettati di sentire un politico europeo ricordarlo a gran voce a Trump. La reazione più forte è stata quella della Presidente del Parlamento europeo Metsola che, a quelle accuse giuridicamente infondate ed economicamente ridicole, ha risposto: “Trump non ci spaventa, non rassegniamoci al pessimismo“. Dal canto suo, la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen ha auspicato, da un lato, una “stretta collaborazione” tra la UE e Trump per far fronte alle “sfide globali”, e dall’altro, per affrontare la frammentazione economica globale ora accentuata dall’agenda protezionistica di Trump, ha annunciato proposte per integrare all’interno dell’Ue i mercati dei capitali e eliminare le barriere, ribadendo l’impegno europeo verso l’accordo di Parigi sul clima e annunciando la nascita di un “Forum Globale” sulla transizione verde.

Ciò dimostra tre cose, tutte molto gravi: un approccio mentale alla sfida geopolitica di tipo solo difensivo; la rinuncia ad affrontare quello che oggi è ormai evidentemente “il” problema politico europeo, ovvero il fatto che l’Ue non sia una reale entità politica, separata e superiore a quella degli Stati che la compongono; il perseverare nel mantenimento di un approccio burocratico e non operativo, creando tavoli in cui si chiacchiera per anni mentre oggi gli americani in due giorni rivoluzionano il mondo. E se andiamo a vedere le posizioni assunte dai responsabili di quei mercati dei capitali a cui soli i responsabili politici ormai attribuiscono proprietà taumaturgiche, troviamo la presidente della Bce Christine Lagarde che, in risposta alla minaccia di dazi annunciata da Trump, non trova altro argomento che ricordargli che “non si possono ignorare le istituzioni internazionali, con 190 paesi che sono parte di Fmi e Wto”. Risposta che sarebbe un’ottima battuta, visto che cerca ancoraggi che il suo interlocutore ha già dichiarato di voler smantellare. Come si vede, dunque, i responsabili politici e finanziari dell’Unione Europea non solo non sembrano molto intraprendenti, fra non sembrano nemmeno aver compreso la reale portata della sfida.

Gli Stati rispondono (?)

Il tono cambia tra alcuni politici nazionali: si è distinto per veemenza il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez, che ha accusato i miliardari della tecnologia di voler “rovesciare la democrazia” tramite i social media, denunciando come queste piattaforme, inizialmente strumenti di unità e giustizia sociale, siano ora usate per manipolare e dividere la società. Questa è decisamente una posizione forte! Molto interessante quindi è vedere in quali azioni politiche si andrà ad incorporare. Al momento in cui licenziamo questo intervento non ne abbiamo rinvenute. Ma, si sa, in Europa sono Germania e Francia a considerarsi i Players of the Match. Ed infatti Olaf Scholz e Emmanuel Macron si sono incontrati con l’obiettivo di cercare di “mostrare forza” a Washington, impegnandosi a parlare con una sola voce. La Teoria dei Giochi insegna che la migliore difesa contro una minaccia è una minaccia credibile, possibilmente irreversibile, che provochi un danno all’avversario maggiore del danno arrecato dalla sua minaccia. Perché, allora, i due non hanno giocato quella carta?

La risposta è semplice: i numeri del commercio internazionale ci dicono che nessuno dei due l’ha in tasca e, se anche uno l’avesse, potrebbe giocarla sul piano nazionale, non sul piano europeo, dove il processo decisionale è sottoposto a complesse liturgie che non possono essere cortocircuitate da nessuno. E infatti gli ultimissimi annunci sono nel più ossequioso rispetto di tali liturgie: leggiamo che, al fine di favorire il rilancio economico dell’Europa, la Commissione Ue adotterà una “Bussola sulla competitività”, un piano con un orizzonte temporale di cinque anni che mira a una riduzione della burocrazia e ad instaurare un “dialogo strategico” con l’industria automobilistica europea, fortemente voluto dal cancelliere tedesco Olaf Scholz che, infatti, ha subito alzato il tiro dichiarando che l’Ue sta lavorando a un piano di incentivi per l’acquisto di veicoli elettrici, al fine di sostenere l’automotive europeo.

In questo panorama preoccupante, l’unico rappresentante dell’alta politica europea che dimostra di avere le idee chiare è uno che sta facendo di tutto per essere accolto al tavolo, ma che ancora non vi siede: Volodymyr Zelensky. Il presidente ucraino si è immediatamente dichiarato pronto a “collaborare con gli americani per raggiungere la pace” e ha esplicitamente criticato la debolezza dell’Europa, avvertendo che il continente rischia di diventare irrilevante, sollecitando i Paesi europei ad aumentare le spese per la difesa e facendo sapere che, per far rispettare un accordo di pace in Ucraina, sarebbero necessarie almeno 200 mila truppe alleate. Dopo di che ha precisato che l’Ucraina si opporrà a qualsiasi negoziato tra Trump e Putin “se non verranno coinvolti Kiev e l’Europa”. Quali sensazioni forti e fresche sa trasmettere quest’uomo, a cui l’Europa deve già tanto senza forse essersene nemmeno accorta, ai pochi Spiriti Liberi rimasti in circolazione in quella che è stata la culla della Civiltà Occidentale! 

Rivolgiamo un ultimo sguardo interrogativo alla bibbia della vulgata economica progressista dell’ultimo mezzo secolo. “The Economist” ci informa che, per la prima volta in oltre un secolo, l’America ha un presidente imperialista che unisce “un’ideologia dell’era ferroviaria all’ambizione di piantare la bandiera su Marte”. Siamo quasi sopraffatti dallo scoramento, ma riponiamo la bibbia e decidiamo di lanciare un messaggio in una bottiglia. In giro per il Mondo c’è qualcuno che abbia voglia di lasciar da parte la stupida supponenza europea? Che capisca che l’America di Trump sarà aggressiva contro chiunque voglia contestare il suo essere capitale dell’Impero? Che sappia accettare l’idea che l’architettura geopolitica mondiale basata sul paradigma liberale internazionale novecentesco è crollata con l’elezione di Trump, e la conseguenza è la perdita di ruolo del continente europeo? Se in giro per il Mondo è rimasto qualche Spirito Libero che pensa queste cose si faccia vivo, perché qui nel vaso di coccio Europa siamo in pochi e ci sarebbe un mare di lavoro da fare.

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