Le autostazioni italiane alla prova dei grandi eventi

Traffico in crescita, autostazioni al palo. Il quinto “Flixtalk” della stagione 2023/2024, organizzato a Milano sul tema “Autostazioni: sviluppo economico e sociale”, ha dipinto un quadro in chiaroscuro per gli habitué dei viaggi su lunga distanza: l’Italia della mobilità su gomma non riesce a tenere il passo della propria attrattività territoriale. “Per quanto la nostra rete nel Belpaese consti di 500 fermate – ha evidenziato Andrea Incondi, amministratore delegato di Flixbus Italia – in appena 29 casi troviamo autostazioni. Il resto è rappresentato da semplici stalli su marciapiedi, spesso senza alcun servizio per l’utenza”. Parole che pesano come macigni e alle quali hanno cercato di trovare una spiegazione tre ospiti speciali.

“L’anomalia italiana non è la sola in Europa – ha osservato Paolo Beria, direttore Traspol, Research Centre on Transport Policy, e professore associato del Politecnico di Milano – tenuto conto che possiamo imbatterci in situazioni molto simili anche nelle grandi capitali: se guardiamo all’autostazione di Stoccolma, ad esempio, gli spazi appaiono molto strutturati, ma Vienna al confronto risulta decisamente più spartana. Analogamente il Sud Italia, e in parte anche il Centro, offrono aree d’appoggio meglio organizzate che al Nord, dal momento che sono nate anni addietro per sostenere l’intenso traffico su gomma diretto a settentrione. Siamo di fronte a un fenomeno che, almeno nel nostro Paese, è stato principalmente gestito su iniziativa di singole realtà private, senza avere linee guida di sviluppo o principi di uniformità territoriale. Anche là dove incontriamo esempi più strutturati, come Bologna, siamo in presenza di qualcosa ancora diverso: piattaforme a gestione comunale per servizi pubblici destinati alla città o alla Regione, dunque afferenti al servizio Tpl  in linea prioritaria”. Comfort, sicurezza e infrastrutture commerciali restano però ancora sulla carta. Nonostante i tentativi avviati negli ultimi anni per cercare di definire almeno che cosa si debba intendere propriamente per “autostazione”, lavori di adeguamento e investimenti sono lungi dallo sbloccarsi.

Il biglietto da visita delle città

“Dal punto di vista turistico – ha aggiunto Andrea Incondi – oggi è molto più semplice far partire una corsa nel Sud Italia che nel resto del Paese, ma di fronte al continuo rafforzarsi della domanda di lunga percorrenza l’Italia rischia di perdere grandi numeri nel tempo. Dev’essere chiaro a tutti che un’autostazione ben organizzata non è soltanto una piattaforma di servizi, ma un biglietto da visita delle città: se il primo contatto col Paese di un turista straniero è uno spazio periferico, trascurato, non di rado pericoloso come segnalato più volte per la stazione di Lampugnano a Milano, il rischio di non rivedere più né lui o lei, né le persone cui racconteranno la propria esperienza, è altissimo. Servono dunque interventi mirati per rafforzare gli attuali bacini d’utenza, ma anche per intercettare i nuovi vettori della mobilità: come possiamo pensare di introdurre bus elettrici o a idrogeno, se mancano anche i punti di ricarica?”.

Mettendo a fuoco i punti di debolezza dell’offerta italiana, è presto apparso evidente che a mancare è stato, e continua a essere, l’intervento delle istituzioni sia locali che nazionali. Una condizione dovuta in parte alla fluidità di immagine con cui, nel tempo, gli enti regolatori hanno fatto riferimento alle autostazioni, lasciando campo libero a iniziative individuali, anziché coordinate secondo una visione sistemica.

Andrea Incondi, amministratore delegato Flixbus Italia

Verso un modello funzionale

“Solo a partire dal 2017, e su segnalazione di alcuni vettori impegnati su lunghe percorrenze, il trend ha iniziato a cambiare – ha spiegato Marco Marmotti, rappresentante dell’Ufficio Regolazione economica dei servizi di mobilità ART – ma questo solo perché i mezzi delle compagnie avevano difficoltà di accesso ad alcune autostazioni. L’importanza di un intervento regolatorio si misura proprio a partire da situazioni simili: la difformità strutturale tende a creare svantaggi competitivi dovuti più a inadempienze organizzative, che a reali capacità commerciali. Quando l’Unione Europea ha iniziato a fornire linee comuni, in particolare puntando sull’indispensabile presenza di servizi come le biglietterie e le sale d’attesa, il modello dell’autostazione ha gradualmente preso forma lasciandosi alle spalle problematiche propriamente fisiche, per valorizzare invece gli aspetti funzionali: in questo senso, la presenza di un’autostazione non è più condizionata dalle dimensioni di una città, ma acquista maggior peso se esistono sul posto opportunità di interconnessione modale o multimodale”.

Da una fase storica in cui l’Italia pareva disporre di solo due autostazioni realmente tali secondo gli standard del Mit di Boston, cioè Milano e Crotone, oggi è possibile conteggiarne almeno 47, distribuite in tutte le Regioni seppure con livelli di servizi ancora molto differenti (i principali parametri di regolamentazione riguardano l’accesso agli stalli e le pratiche commerciali inerenti gli spazi di sviluppo). Il merito va riconosciuto alla delibera 56 del 2018, in virtù della quale la realtà italiana è stata messa a sistema, puntando appunto sul coinvolgimento degli enti regionali. 

La sfida di Verona

“Il caso della nostra città è a suo modo emblematico – ha aggiunto Tommaso Ferrari, assessore alla Transizione ecologica del Comune di Verona – perché non dispone ancora di una stazione di interscambio a lunga percorrenza, nonostante si trovi al centro della principale direttrice del Nord Itala fra Venezia e Torino: proprio quella su cui Flixbus ha iniziato a operare da circa dieci anni. Per troppo tempo città come la nostra hanno limitato gli interventi ai soli servizi di collegamento urbano o extraurbano, trascurando completamente la lunga percorrenza. Non possiamo più permettercelo in un’epoca in cui l’intermodalità è il nuovo paradigma, in particolare nei luoghi dove è anche assente la ferrovia. Le amministrazioni comunali devono superare quella visione localistica che pensa i propri spazi in termini di semplice decoro urbano, anziché come poli di mobilità integrata: da questo punto di vista, il dialogo non può limitarsi alle sole istituzioni pubbliche, ma occorre un maggior confronto a favore di partnership pubblico-private, soprattutto per la miglior scelta su dove allestire le nuove autostazioni. Spesso esiste discrepanza fra pianificazione del territorio e mercato e i siti individuati non devono necessariamente trovarsi sui classici assi cardinali delle città”. 

Una visione intermodale

Il passo atteso è dunque quello di un generale “upgrade” delle strutture esistenti, sul modello di quanto fatto per le stazioni ferroviarie di Milano Centrale o Roma Tiburtina, oggi in linea agli standard internazionali dal punto di vista del trasporto treno, ma non all’altezza per quel che riguarda i servizi su gomma. L’autostazione “europea”, laddove in particolare risulti integrata alla stazione ferroviaria, si trasforma in un motore di sviluppo dei quartieri ospitanti e può trarre notevole spinta dalla disponibilità agli investimenti dei privati: spinta che, nel tempo, va però sostenuta a livello locale, onde non correre il rischio di realizzare progetti facilmente deperibili se lasciati a sé e non messi in comunicazione con lo sviluppo della città. In tal senso, le autostazioni urbane possono essere tranquillamente più di una o due, distribuibili in punti dove l’accesso al tessuto non è conflittuale con le esigenze di pedonalizzazione, ma tenendo fermo il principio che debbano restare sempre in dialogo e, soprattutto, accessibili a chiunque. Persone disabili in primis. Una sfida nella sfida che andrà colmata entro l’inizio di due eventi spartiacque per l’affidabilità logistica dell’Italia: il Giubileo di Roma 2025 e le Olimpiadi Invernali di Milano-Cortina 2026.  

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