Ridurre progressivamente le emissioni di gas serra e i consumi energetici degli edifici entro il 2030, per arrivare alla neutralità climatica entro il 2050: questo l’obiettivo della revisione della direttiva Ue sulla prestazione energetica nell’edilizia. Nel frattempo gli edifici nuovi sia pubblici che privati, dovranno essere a emissioni zero. Mentre si stringono le maglie dell’efficienza per quelli esistenti, anche se versione approvata dal Parlamento europeo è più soft rispetto alla prima proposta presentata dalla Commissione.
Due target di riduzione dei consumi medi fissati per gli edifici residenziali, uno al 2030 e uno al 2035. I Paesi membri avranno due anni di tempo per adeguarsi, quindi per capire quali edifici dovranno essere ristrutturati bisognerà attendere la definizione delle strategie nazionali.
Stime per 5 milioni di edifici, in Italia
Dei circa 12 milioni di edifici residenziali presenti in Italia quelli a cui andrà data priorità di ristrutturazione sono circa 5 milioni, con un investimento economico necessario di circa 275 miliardi di euro annui per operare la svolta energetica, vale a dire 152 miliardi di euro di investimenti all’anno in più rispetto alle risorse attuali. Non sono previsti finanziamenti dedicati, ma i Paesi potranno attingere ai fondi Ue per sostenere gli interventi. In particolare al Fondo sociale per il clima, al Recovery fund e ai Fondi di sviluppo regionale.
La notizia positiva è che non saranno più le classi energetiche armonizzate a definire i parametri, ma delle medie di riferimento per ciascuno Stato sull’intero patrimonio edilizio. Per gli edifici residenziali l’obiettivo è che il consumo energetico medio diminuisca almeno del 16 %, rispetto al 2020, entro il 2030 e almeno del 20-22 % entro il 2035. Il 55% del calo deve essere raggiunto tramite la ristrutturazione del 43% degli edifici con le prestazioni peggiori.
Inoltre, tutti i nuovi edifici residenziali dovranno essere a emissioni zero dal 2030. Sono previste esenzioni per gli edifici storici e agricoli. Inoltre i Paesi membri possono escludere anche gli edifici protetti per il valore architettonico o storico, gli edifici temporanei, chiese e luoghi di culto.