ESG Revolution, i nuovi bilanci utili per aziende lavoratori e consumatori

8 Aprile 2025
6 mins read

Intervista a Alessandro Servadei, presidente di Economia Pulita

Una sigla si aggira per l’Europa. Tre lettere, ESG, diventate argomento di discussione e obiettivo da raggiungere per la maggior parte delle aziende europee. ESG è il nuovo bilancio che le aziende grandi e medie dovranno stilare nel 2025. Un nuovo tipo di rendicontazione, non solo economico e finanziario, ma più complesso e globale, che ha lo scopo di far bene a tutti, all’ambiente, ai cittadini e anche alle stesse aziende. Le imprese con almeno 50 milioni di fatturato e 250 dipendenti saranno le prime a dover adempire a questo obbligo. Esse però per redigerlo dovranno misurare anche l’impatto di tutta la loro filiera, persino delle piccole aziende fornitrici, che saranno così altrettanto coinvolte in questo cambiamento. Per approfondire l’argomento abbiamo intervistato Alessandro Servadei, presidente di Economia Pulita.

Alessandro Servadei, che cos’è Economia Pulita?

Economia Pulita nasce circa quattro anni fa con lo scopo di organizzare convegni e incontri parlando di sostenibilità a tutto campo per poi specializzarsi prevalentemente nel percorso verso la sostenibilità del settore dei trasporti, mettendo in contatto il mondo professionale e quello delle associazioni con il mondo accademico. Dal 2024 poi, con l’introduzione di varie normative in materia di organizzazione aziendale e gestione della filiera, nonché delle nuove direttive comunitarie in materia di ESG, Economia Pulita ha deciso di svolgere un’attività di formazione e di consulenza. Abbiamo messo a fattor comune l’esperienza pluridecennale di professionisti, un team di lavoro con ingegneri, avvocati e commercialisti in grado di offrire soluzioni per rispondere alle nuove esigenze delle aziende. 

Quindi da una parte una serie di competenze diverse, trasversali, dall’altra le aziende di autotrasporto che, per quanto strutturate, hanno il loro core business nella logistica ma si devono necessariamente interessare all’evoluzione della normativa. Per esempio all’obbligo ormai vicino di stilare un bilancio ESG. Una transizione complicata?

L’ESG comporta un certo impegno che però non è particolarmente gravoso rispetto a quanto che già prevedono le normative attuali. Per esempio, il compito più facile è rispettare quello che richiede la lettera S della sigla ESG che domanda, innanzitutto, che un’azienda abbia tutti i contratti in regola e non avere lavoratori in nero. Sembra una banalità, ma purtroppo non è sempre così. La G di “governance” significa avere un minimo di struttura organizzativa e amministrativa. Nessuno richiederà alle piccole e medie imprese di avere l’organizzazione di una multinazionale, ma presto nessuno potrà evitare di fare i conti con il bilancio ESG. Le grandi imprese saranno obbligate tra un anno a controllare la catena del valore, il rispetto dell’ESG da parte di tutti i fornitori, di tutte le aziende che collaborano con loro. Auspichiamo comunque una semplificazione della normativa europea ed una progressiva entrata in vigore.  Le piccole e medie imprese non hanno comunque scelta, in base a normative già in vigore in Italia, indipendentemente dai nuovi standard. Non sarà tanto la normativa quanto il mercato a imporlo. Il nostro sforzo, nei convegni che organizziamo, è quello di cercare di rendere facile e fruibile questa normativa anche a un tessuto imprenditoriale italiano che al 98 per cento è costituito da player piccoli e medi. 

Una nuova realtà che sarà difficile e costosa per i piccoli imprenditori… 

In realtà non servono costi eccessivi, lo sforzo è quello di riuscire a dare indicazioni e a fare in modo che anche i piccoli, con costi minimali, riescano non solo e rispettare le nuove normative, ma a rimanere competitivi sul mercato.

Sarà necessario anche misurare e valutare le performance relative alle tre lettere, Environment, Social e Governance. Esistono gli strumenti adatti? Per la E immagino di sì, ma per la S e la G? 

Non è difficile neanche per la parte Social e Governance perché ci sono delle normative molto chiare. Prendiamo, ad esempio, la lettera S, senza allargare il campo all’impatto sulla società o sulla comunità in cui opera l’azienda, il Social è legato soprattutto al lavoro dipendente, per esempio alla parità di genere, al welfare aziendale che dia, ad esempio, contributi per i libri scolastici dei figli dei lavoratori… 

Il raggiungimento degli obiettivi nel campo Social, del benessere dei lavoratori, potrebbe in qualche misura rendere più facile trovare gli autisti che oggi mancano? 

Potrebbe renderlo più facile se l’azienda facesse una proposta lavorativa con la quale l’autista oltre allo stipendio ottenesse altri benefit o vantaggi in termini di riposo, di qualità del mezzo che guiderà. Qualcosa che vada oltre l’obbligo di legge, oltre il testo del contratto nazionale. Oggi probabilmente un primo grande obiettivo, da raggiungere con uno sforzo, sarà quello di regolarizzare i rapporti di lavoro in tutte le imprese, che non è poco. 

Servadei, e se passiamo alla G di Governance, vuol dire anche che ci deve essere un consiglio di amministrazione, un amministratore e dei dirigenti che credono in progetto globale ESG e che lo mettono in pratica?

Per prima cosa serve una governance che sappia dove vuole andare, con idee molto chiare. È la testa quella che deve prendere la guida. Sotto la lettera G in realtà noi dobbiamo andare a mutuare quello che già dal 2019 è stato introdotto dal Codice della crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, il CCII, e cioè la necessità di un corretto e adeguato assetto organizzativo. Ogni impresa, in base alla propria dimensione, deve avere una struttura organizzativa adeguata che non è necessariamente legata a un consiglio di amministrazione, se l’azienda è piccola. L’importante è che abbia tutto quello che serve per farla funzionare. Per prima cosa una corretta gestione dei numeri. Sembra strano, ma molte aziende hanno contabilità che non sono tenute perfettamente. 

E così torniamo al bilancio, che una volta, tradizionalmente, era un bilancio economico-finanziario mentre oggi è più globale. Come lo si stila dal punto di vista pratico, è più complesso? 

Abbastanza, ma non eccessivamente se, come sembra, verrà semplificato e per le PMI da obbligatorio si passa ad adempimento volontario. Le faccio una premessa. Esiste una direttiva comunitaria, la UE 2025/25, che impone l’obbligo di redazione e pubblicazione del bilancio per S.n.c. e S.a.s., con un termine di adeguamento fissato al 31 luglio 2028. Questo perché ci si è resi conto che le società di persone, che sono tante, non forniscono dati al mercato, a nessuno stakeholder. Quindi non si può chiedere alle aziende strutturate di controllare la filiera se poi questa filiera non ha i dati. Sarebbe una contraddizione. E poi, anche in questo nostro colloquio, stiamo sempre parlando di rispetto delle nuove normative e di rapporti tra grandi imprese e piccole imprese, dimenticandoci che tutte queste informazioni sono già oggi richieste dalle banche ai propri clienti. Viviamo in un sistema banco-centrico, dove fondamentalmente non c’è capitale di rischio, tutto è basato sulla leva bancaria, e oggi le banche per erogare finanziamenti devono valutare i rischi dei propri clienti. Tutte le imprese, di qualsiasi dimensione e forma societaria, saranno obbligate a dichiarare il loro bilancio, che sia semplice o complesso, perché lo chiede la grande impresa per la quale si vuole lavorare o perché lo chiede la banca oppure il consumatore finale che vuole iniziare a essere più consapevole su come viene prodotto un bene.

Non più solo greenwashing quindi, si sarà costretti ad andare alla sostanza. 

È proprio questo che noi di Economia Pulita diciamo, non è più una questione di obbligo normativo ma una questione di mercato, perché me lo chiede l’azienda con la quale collaboro, il mio cliente grande o piccolo, la banca… Tanto vale, anziché fornire questi dati in modo disorganico predisporre invece un documento – più o meno strutturato – che sarà pronto quando questi dati, per un motivo o per l’altro, mi verranno chiesti. Oltretutto, avere un certo tipo di bilancio darà diritto anche ad agevolazioni fiscali. Non è quindi soltanto questione di etica o di visione green del futuro: un’azienda deve dimostrare di avere sotto controllo la capacità di mitigare i propri rischi. 

Questo obbligo del bilancio ESG diventa un vantaggio competitivo perché, il pubblico, il committente, mi vede come azienda virtuosa. Ho facilità di accesso ai finanziamenti, ottengo agevolazioni fiscali, so che non rischio perché sto seguendo tutta una serie di passi che mi rendono un’azienda più sicura, più solida. Quindi qualunque sia la dimensione dell’azienda è uno sforzo che fa del bene? 

Assolutamente sì, e in molti aspetti non richiede affatto investimenti enormi come non lo comportano, faccio l’esempio del lavoro dipendente, regolarizzare situazioni non completamente chiare o dare alcuni benefit ai propri lavoratori. E neppure lavorare con dei sub-fornitori più controllati implica costi particolari. Questi sforzi in realtà, se ben gestiti e guidati, senza esborsi economici e finanziari impegnativi possono fornire un vantaggio competitivo non indifferente a chi parte per primo. C’è qualcuno adesso che sta chiedendo il rinvio dell’introduzione del bilancio ESG, ma alla fine anche se venisse accordato, potrà essere un rinvio di tre-sei mesi, ma presto ci si arriverà. Del resto già oggi un bilancio di questo tipo lo richiede l’EBA, l’autorità bancaria europea. Una semplificazione è invece necessaria perché favorirebbe la trasmissione di informazioni più chiare, che non si perderebbero in un mare di pagine, e aziende anche non obbligate potrebbero essere invogliate ad avviare un percorso ESG su base volontaria.

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